[Guida, Napoli 2011]
Tema di Alessandro Viti, inserito nella collana «Parole chiave della letteratura» (diretta da R. Luperini, G. Ferroni e C. Vitiello) assume, nello stile e nella struttura, l’intento di saldare saggismo e alta divulgazione e vi riesce in modo impeccabile, a partire dalle forme con cui veicola le proprie idee: chiare, onestamente argomentate, mai banalizzanti. Finalizzata a questo progetto è l’interna tripartizione del libro che esamina la storia e lo stato attuale delle interpretazioni e, infine, la loro concreta applicabilità.
Il volume, infatti, è introdotto da un capitolo diacronico che ricostruisce esemplarmente i mutamenti del termine “tema” nella storia della critica (pp. 13-64), ha il suo nucleo portante in un vasto capitolo centrale (pp. 65-152) che esamina con chiarezza le principali «questioni aperte», e culmina in un agile capitolo propositivo (pp. 153-190) in cui si enumerano le risorse della tematologia: l’apertura alla realtà, l’interdisciplinarietà, il tema come «mezzo di conoscenza».
A ben guardare, niente nel libro è lasciato alla pura descrizione: la storia del concetto-termine e le “questioni aperte” si saldano alle proposte operative e ad esse sono funzionali. Discutere se il tema sia o meno il frutto di una costruzione dell’interprete o la vexata quaestio che attraversa la tematizzazione, opponendo forma e contenuto, è indispensabile premessa alla rivendicazione del tema come risorsa ermeneutica. A marcare l’intento saggistico sono innanzitutto le spie stilistiche che rivelano il pacato coraggio e la vigile attività giudicante dell’autore («imperdonabile miopia», p. 71, «non serve a fare passi in avanti», p. 67, e simili, detti a proposito di lavori critici di cui pur si riconosce tutta l’autorevolezza) nonché la sua postura propositiva e finalistica («è quindi da», «ciò permette di», «non deve trasformarsi in», «è pur sempre necessario», pp. 166-167).
Grazie a questo lavoro, che integra l’ottima monografia di Giglioli (2001), si chiariscono le ragioni del senso di disagio e, al contempo, della necessità (p. 9), di ogni lavoro tematico. Se la tematica strutturale o topologica aveva in sé il rischio di una concezione monadica o stereotipata del tema, incapace di aprirsi al campo delle interpretazioni, a partire dal mutamento di prospettiva attestato dal primo dei convegni parigini (1984), dai lavori di Bremond e dal saggio di Sollors (1993), prevalgono la prospettiva “genealogica” e l’apertura interdisciplinare. L’una e l’altra rendendo meno «anemica» (Giglioli) la critica, rischiano tuttavia di eguagliarla al culturalismo merceologico dominante.
La soluzione prospettata da Viti, che recupera a tal fine un lemma fortiniano, è «l’uso servile» del tema, vale a dire la proposta di trattare il tema come «grimaldello metodologico» (p. 189), chiave di accesso ai significati del testo. L’uso critico dei temi, sia esso funzionale a una storia della mentalità o della cultura (Ceserani, Domenichelli) o a una nuova e non convenzionale ipotesi storico-letteraria (Pellini, Luperini) è in sostanza la via maestra per mettere in rapporto letteratura e realtà.
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